SI alla legge sul fine vita, una scelta politica e di civiltà

Come è noto, martedì arriva in Consiglio Regionale la proposta di legge di iniziativa popolare per la regolamentazione in Veneto dei tempi e delle procedure del suicidio medicalmente assistito, già previsto nella legislazione nazionale, come sancito dalla Corte Costituzionale.

Lo scopo della proposta di legge è quello di rendere concretamente esigibile nella nostra Regione un diritto, appunto, già esistente ma di cui la stessa legislazione non garantisce percorsi e tempi certi per la effettiva fruibilità da parte delle persone.

L’approvazione della proposta di legge darà la certezza giuridica che non si ripeta in Veneto quanto già accaduto in altre regioni, cioè che le richieste di accesso al suicidio medicalmente assistito, pur rispondendo agli stringenti requisiti previsti dalla Corte Costituzionale, si impantanino in una procedura non definita di verifica delle condizioni del malato. La proposta di legge, infatti, definisce ruoli e responsabilità di questa verifica, nel rispetto dei tempi stretti delle persone malate e delle loro sofferenze.

Rendere concretamente attuabile una legislazione che già c’è è una scelta politica di civiltà e di rispetto per i diritti dei cittadini.

Crediamo sia importante, quindi, che l’Assemblea regionale voti a favore della proposta di legge, facendo così compiere al Veneto un passo in avanti sulla strada dei diritti e della civiltà giuridica.

Vari “movimenti pro vita” hanno annunciato di essere pronti a redigere una “lista di proscrizione” dei consiglieri regionali che voteranno a favore della proposta.

Noi pensiamo che essere inseriti in questa “lista” sarà una “medaglia” perché i consiglieri che esprimeranno un voto favorevole compiranno una scelta politica chiara a favore della concreta esigibilità di un diritto delle persone già previsto dalla legislazione italiana.

Pensiamo che siano moltissimi i Veneti che condividono questa impostazione che, come si usa dire, garantisce un diritto a chi vuole esercitarlo e non toglie niente a tutti gli altri, compresi i “movimenti pro vita”.

Speriamo che la proposta di legge ottenga la maggioranza dei voti favorevoli e porti il Veneto a essere la prima regione italiana a dotarsi di questa normativa.


Sinistra Italiana del Veneto – Gruppo regionale Sanità 

Giornata della salute mentale: in Veneto è necessario fare di più, a cominciare dai fondi

Martedì 10 ottobre è la Giornata Mondiale sulla Salute Mentale, tema troppo spesso trascurato o messo ai margini dal dibattito politico, nonostante sia sotto gli occhi di tutti come i due anni di pandemia, con il distanziamento fisico e l’isolamento sociale che hanno comportato, siano stati dannosi per il benessere mentale di moltissimi veneti.

Nella nostra regione molti distretti e reparti di psichiatria sono in difficoltà, una situazione dovuta a una sanità pubblica veneta che ha indebolito i servizi sul territorio e ridotto le risorse destinate alla tutela della salute mentale. Aziende sanitarie e comuni in passato potevano utilizzare maggiori risorse anche per prevenire i fenomeni di disturbo mentale. Oltre agli effetti della pandemia va notato anche come lo stile di vita frenetico e un mondo che richiede da ogni individuo il massimo di “successo” creino fenomeni di inadeguatezza sociale che in alcuni casi comportano danni per il benessere mentale delle persone. 

Come è noto, per i finanziamenti al comparto della salute mentale la Regione Veneto è terzultima a livello nazionale con una spesa del 2,3% del fondo sanitario regionale. La conseguenza è che chi se lo può permettere è costretto ad accedere, pagando, al regime privatistico, chi non può, invece, spesso deve semplicemente farne a meno. Secondo noi era importante prima della pandemia (e lo è ancora di più oggi) investire risorse pubbliche per la tutela della salute mentale, è necessario investire sui distretti, sui consultori e su figure come educatori e psicoterapeuti che possono essere recettori dei bisogni che hanno le persone più fragili, per poter prevenire situazioni che portino al ricovero in psichiatria. 

Dal 1978 con la Legge Basaglia sono stati chiusi i manicomi e dal 2014 sono stati chiusi gli Opg (ospedali psichiatrici giudiziari) con la trasformazione di questi ultimi in REMS (Residenze per l’Esecuzione della Misure di Sicurezza).

La peculiarità di queste nuove strutture è l’attenzione primaria alla malattia psichiatrica piuttosto che al reato e alla pena. Molti dubbi e criticità sono ancora presenti nell’organizzazione di tali realtà anche perché non ci sono degli standard nazionali ai quali riferirsi e nemmeno un monitoraggio del loro andamento.

Passi avanti sul fronte psichiatrico sono stati fatti, ma in Veneto rimangono molte questioni aperte, come l’idea della Regione Veneto di istituire delle strutture nel territorio per chi soffre di disagi psichiatrici, strutture ribattezzate “manicomietti” da molti di coloro che si occupano di salute mentale.

In alcuni casi, inoltre, si registra in Veneto una forte somministrazione di farmaci ai pazienti ricoverati nei reparti psichiatrici degli ospedali e anche questo aspetto andrebbe maggiormente approfondito. Non solo: il potenziamento nel percorso pubblico deve passare anche dalla massima attenzione per la fase del post ricovero, tanto delicata quanto essenziale per il completo riassestamento del paziente, specie nelle situazioni di maggior fragilità.  

Noi pensiamo che a livello nazionale e, ancor più in Veneto sia necessario cambiare direzione nel delicato ambito della tutela della salute mentale. Va ricostruita e potenziata una rete di supporto per le persone più fragili e per chi sta loro accanto. 

Riteniamo che vada posta particolare attenzione al rafforzamento della rete dei consultori e dei distretti il cui lavoro può essere molto utile per monitorare la salute mentale dei pazienti e prevenire forme di malattia mentale. E pensiamo sia altrettanto importante l’impostazione di una politica di inclusione di chi soffre di un disturbo mentale.

Sinistra Italiana del Veneto – Gruppo Sanità

I Veneti sono consapevoli dello scivolamento della sanità verso il privato: non ci sono più scuse.

Le chiacchiere sull’eccellenza della sanità pubblica nella nostra regione stanno a zero quando, come emerge dall’indagine di CISL e Fondazione Corazzin, il 72,8% dei Veneti (tre quarti) si dichiara convinto che “la gestione della sanità pubblica in Veneto favorisca il privato” e il 72,7% afferma di essersi rivolto proprio al privato a causa dei tempi di attesa troppo lunghi nel pubblico.

Si tratta di una situazione che denunciamo da tempo e che trova in questa indagine il riscontro della piena consapevolezza dell’opinione pubblica tanto che la percentuale di cittadini soddisfatti del servizio sanitario è del 9,8% contro una percentuale del 31,4% che dà un giudizio negativo.

Rispetto alla questione della progressiva privatizzazione del sistema sanitario in Veneto la difesa d’ufficio dell’assessore Lanzarin è la solita: “Da 15 anni la quota di privato in Veneto è rimasta assolutamente la stessa”.

Non mettiamo in dubbio questo dato ma si tratta di una considerazione che riguarda il cosiddetto “privato convenzionato” cioè le prestazioni che le strutture sanitarie private svolgono “per conto” del sistema sanitario pubblico e per le quali, per capirsi, il cittadino paga il ticket come per le analoghe prestazioni erogate da ospedali e ambulatori pubblici.

Quello che in Veneto sta progressivamente crescendo da anni è il ricorso alla sanità privata propriamente detta, quella il cui costo è completamente a carico del paziente che, come indicano i risultati dell’indagine in questione, vi fa ricorso quando (spesso) le liste d’attesa del pubblico (e anche del “privato convenzionato”) sono troppo lunghe.

Ovviamente, il valore economico di questo “passaggio al privato” non trova riscontro nel bilancio della Regione perché, appunto, il costo viene direttamente sostenuto dai cittadini: un modo per valutarlo sarebbe una indagine (che potrebbe curare l’assessore Lanzarin) sulle “impegnative” per analisi cliniche, esami, visite specialistiche che dovrebbero essere effettuati nel pubblico e che vengono, al contrario, svolti in una struttura privata, all’esterno delle convenzioni. Non dovrebbe essere difficile effettuare questo tipo di verifica visto che il medico che prescrive la prestazione ne riceve poi gli esiti con l’indicazione della struttura che l’ha effettuata. L’assessore Lanzarin valuterà questa proposta che, se accolta, permetterebbe di avere un quadro chiaro della “privatizzazione” reale della sanità in Veneto, anche in termini di valore economico della fuga verso il privato?

In attesa della risposta dell’assessore Lanzarin ribadiamo alcuni dati noti da tempo che confermano come il ricorso alla sanità privata in Veneto sia sempre più massiccio: 

–        il primo è relativo alla spesa pro capite sostenuta in Veneto per le prestazioni della sanità privata che da anni è superiore almeno del 15% rispetto alla media nazionale;

–        il secondo è quello relativo alla percentuale di famiglie che spendono oltre il 20% del loro reddito disponibile per curarsi: in Veneto è del 5,99%, la più alta in tutto il centro-Nord (allegata tabella);

–        lo dichiarano pubblicamente i responsabili delle strutture sanitarie private: il giro d’affari delle loro aziende continua ad aumentare, le loro strutture ad ampliarsi, tra l’altro senza avere problemi a trovare medici da assumere, problema che invece assilla la sanità pubblica.

Ma il dato più drammatico è quello registrato in un’altra indagine dei sindacati resa pubblica pochi mesi fa: nel campione esaminato il 59% delle persone che non ottengono dalla sanità pubblica l’appuntamento “in tempo utile” per la prestazione loro prescritta rinuncia alla prestazione stessa, cioè rinuncia a curarsi, con ogni probabilità perché non può sostenere il costo dell’esame o dell’analisi nelle strutture private. Quante centinaia di migliaia di Veneti si ritrovano in questa situazione, costretti a rinunciare alle cure?

È contro questo modello di sanità che combattiamo e continueremo a combattere con le nostre iniziative e le nostre proposte per una sanità pubblica che garantisce a tutte e tutti servizi di qualità in tempo utile.

Sinistra Italiana del Veneto – Gruppo Regionale Sanità

La privatizzazione della sanità pubblica è il problema, non la soluzione. Con buona pace di Flor.

Nell’intervista rilasciata qualche giorno fa, il dottor Luciano Flor esprime la convinzione che l’unico modo per risolvere i problemi del Servizio Sanitario Nazionale sia l’inserimento nella programmazione sanitaria di “fondi assicurativi e altri tipi di fondi sanitari che già ci sono”. Il dottor Flor, ovviamente, garantisce che in questa sua visione di “integrazione” non vengono messi in discussione i livelli essenziali di assistenza, ma a noi pare che una soluzione di questo tipo non possa che portare a una deriva privatistica della sanità, ancora più accentuata di quella già in corso.

Alle dichiarazioni del dottor Flor rispondiamo, in primo luogo, con le parole del Presidente della Fondazione Gimbre Nino Cartabellotta che, in una recentissima audizione alla Commissione Affari sociali, sanità, lavoro pubblico e privato, previdenza sociale del Senato sui fondi sanitari ha, tra l’altro, affermato: “Le potenzialità dei fondi sanitari nel fornire prestazioni integrative e ridurre la spesa a carico dei cittadini oggi sono poi sempre più compromesse da una normativa frammentata e incompleta, una deregulation che ha permesso da un lato ai Fsi di diventare prevalentemente sostitutivi di prestazioni già incluse nei livelli essenziali di assistenza (Lea) mantenendo le agevolazioni fiscali, dall’altro alle compagnie assicurative di assumere il ruolo di gestori dei fondi in un ecosistema creato per enti non-profit, dirottando gli iscritti ai fondi verso erogatori privati.”

A noi pare che la “sinergia” ipotizzata dal dottor Flor non possa certo essere messa in atto fino a che permane questo tipo di situazione.

Ma, andando più a fondo rispetto al problema del finanziamento del sistema sanitario pubblico che muove la proposta del dottor Flor, pensiamo che ci siano due ulteriori elementi di riflessione.

Il primo è relativo proprio alle risorse pubbliche che vengono utilizzate per garantire le detrazioni fiscali a cui ha diritto il mondo dei fondi sanitari e quelle a cui accedono i cittadini che fanno ricorso a prestazioni sanitarie presso le strutture private perché quelle pubbliche non sono in grado di erogarle nei tempi previsti.

Se queste risorse fossero destinate alla sanità pubblica invece che alle detrazioni fiscali il nostro sistema sanitario forse avrebbe qualche problema in meno a livello di finanziamenti.

La seconda questione è proprio quella delle risorse pubbliche che vengono assegnate al sistema sanitario nazionale che sono attualmente insufficienti per garantire una risposta adeguata alla richiesta di servizi della popolazione il cui invecchiamento, ovviamente, richiede un incremento costante di diagnosi e cure.

E questa è una questione tutta politica perché attiene alla decisione di chi governa su quali sono le priorità della spesa pubblica. Le priorità sono l’aumento della spesa militare, la realizzazione del ponte sullo stretto di Messina o l’aumento dei fondi per la sanità?

Le risorse pubbliche per la sanità non sono, come sembra affermare il dottor Flor, insufficienti “a prescindere” ma in ragione del fatto che chi governa il Paese preferisce dare la priorità, appunto, alle spese militari o a quelle per “grandi opere” la cui sostenibilità e utilità è tutta da verificare.

Per curare la sanità pubblica non sono necessarie “integrazioni” di marca privatistica: è necessario (e sufficiente) spostare verso i servizi sanitari l’asse della spesa dello Stato.

Sinistra Italiana del Veneto – Gruppo regionale Sanità

In Veneto tra le più numerose d’Italia le famiglie che spendono oltre il 20% del reddito per curarsi.

In Veneto la percentuale delle famiglie che spendono oltre il 20% del reddito disponibile (reddito totale al netto della spesa alimentare) per curarsi è tra le più alte d’Italia, la più elevata di tutto il centro-nord del Paese, superata solo da quella di alcune regioni del Sud.

Lo dimostra la ricerca, resa nota nei giorni scorsi, condotta dal professor Antonello Maruotti, docente di statistica all’università Lumsa di Roma insieme al ricercatore Pierfrancesco Alaimo Di Loro e Kathleen Johnson dell’Università della West Virginia, di uno studio che mette a nudo tutte le criticità del federalismo in ambito sanitario.

Come dimostra la tabella allegata, in Veneto sono 125.194 le famiglie che hanno speso oltre il 20% del reddito per curarsi, pari al 5,99% del totale dei nuclei familiari residenti nella nostra regione, con una percentuale superiore a quella della Lombardia che in questi anni si è caratterizzata per un pesantissimo processo di privatizzazione dei servizi sanitari.

Il dato del Veneto (superiore a quello di tutte le regioni del Nord e del centro d’Italia) è particolarmente preoccupante anche in ragione di altri due elementi.

1)    Il reddito medio in Veneto è più elevato di quello di molte altre regioni: ciò significa che la “spesa reale” delle famiglie venete per curarsi è probabilmente più elevata di quella di alcune regioni del Sud in cui i redditi sono più bassi.

2)    A luglio di quest’anno AGENAS (l’agenzia nazionale dei servizi sanitari) ha rilevato come in Veneto (tra il  2018 e il 2022) sia calato del 10% l’importo dei ticket sanitari pagati dai cittadini: ciò significa che una parte sempre più consistente della spesa sanitaria affrontata dalle famiglie si concentri sui servizi offerti dalle strutture sanitarie private.

A noi pare, di fronte a questo quadro, che non ci sia molto da “gioire” per lo stato della sanità pubblica in Veneto visto che le famiglie, secondo questi dati, sembrano ogni giorno di più costrette a rivolgersi alla sanità privata per soddisfare le loro esigenze di cura o a rinunciare alle cure stesse se non dispongono delle risorse economiche necessarie.

E non ci pare proprio che l’autonomia differenziata sia la risposta se i risultati sono questi in un ambito, quello sanitario, in cui la competenza è già regionale.